Che
cos’è la fantasia?
di Massimo Gerardo Carrese
(articolo pubblicato sulla rivista "Soci@lmente", n.5, marzo
2012, pag. 7-8)
pubblicato anche sul sito della
Società
Dante Alighieri Polonia, "Imparare la lingua
giocando", giugno 2012
per approfondire il tema si rimanda alla collana
"I
Saggi" di Ngurzu Edizioni
La
fantasia è una facoltà della mente che tutti
possediamo.
In passato, specie nel Medioevo e fine Ottocento inizio Novecento, era
ritenuta una capacità di pochi, esclusiva di chi si credeva
dotato di uno speciale genio o talento, come artisti, poeti, musicisti,
scrittori, e che fosse abilità di individui
perlopiù
maschili. Oggi si pensa che la fantasia sia certamente una
capacità presente in tutte le persone, seppure in misura
diversa
e con stimoli diversi. Una diversità non discriminante ma
che
rende unico ogni essere umano.
La fantasia è anche patrimonio di conoscenze che rivela
diverse
espressioni di un popolo e di culture messe a confronto. In Occidente,
intesa come creatività, la fantasia è legata al
nuovo e
distaccata dalla tradizione; in Oriente, movimento circolare che
ri-coinvolge la tradizione. A seconda dei contesti cui si riferisce, si
carica ora di un senso ora di un altro. Nell’ambito della
moda,
“fantasia” si riferisce a un capo
d’abbigliamento con
colori sgargianti o disegni sartoriali stravaganti; nell’arte
è un capriccio; nella musica è un brano con
particolari
caratteristiche ritmiche; nel ballo è una danza di certe
popolazioni africane; nel settore tipografico è la forma
peculiare di un carattere; “fantasie” sono le
immagini
dell’inconscio per la psicanalisi; nel linguaggio
erotico-gergale, perlopiù in testi cinquecenteschi,
è
parola che sostituisce il nome di organi genitali maschili e femminili;
nel calcio è qualità eccellente del giocatore
“fantasista”; nel parlare comune si riferisce a chi
“sogna a occhi aperti (egli fantastica)”.
Che
cos’è dunque
la fantasia? È una capacità che permette di fare
relazioni fra le immagini della mente e fra le immagini della mente e
il circostante. La fantasia non è solo astratta come spesso
crediamo, ma la possiamo anche toccare, sentire, annusare, vedere,
gustare. La sua è anche una presenza concreta, che si trova
in
tutte le cose ideate dall’uomo. Basterebbe osservare gli
oggetti
e le forme di comunicazione che l’essere umano ha creato per
intendere che derivano dalla sua fantasia: le invenzioni scientifiche,
l’architettura, il design, le lingue e i linguaggi, gli strumenti musicali, gli
indumenti, i giocattoli…
Sarebbe complicato riportare qui, nella brevità
dell’articolo, le molte considerazioni su dove e come nasce
un’immagine e qual è il rapporto tra fantasia e
logica,
creazione e pensiero, cultura e luogo. Soffermiamoci invece
sull’osservazione di un oggetto comune. Una sedia, per
esempio.
La sedia su cui sediamo è innegabilmente un oggetto che
esiste e
che percepiamo attraverso i sensi.
È un oggetto reale ma non si compone di sola
realtà.
È anche fantasia, perché la sedia è
proprio
l’insieme concreto di quelle relazioni che prima erano solo
nella
mente di chi l’ha creata. Immagini della mente che invece ora
si
possono vedere e far vedere (anche attraverso un disegno) nella
realtà circostante, toccare e far toccare. Se tocchiamo
ciò che prima era solo immagine mentale, allora tocchiamo
la fantasia di chi ha creato quella sedia. La fantasia dunque
può anche esistere e manifestarsi, concretamente, negli
oggetti
pensati e poi creati dall’essere umano.
Dunque, una sedia non è solo un oggetto reale ma al tempo
fantasia e realtà perché è
l’insieme,
indivisibile, di quanto prima immaginato e poi realizzato. La sedia,
così come per tutte le cose create dall’essere
umano, è
come un figlio che è il risultato dell’unione
della madre
e del padre ed è insieme quanto madre e padre gli hanno
trasmesso geneticamente. La sedia è l’insieme
della
realtà e della fantasia, e non è solo
realtà o
fantasia. Affermare che un figlio sia solo della madre o del padre
è incompleto. Stessa cosa per una sedia.
Credere possibile
di
realizzare, sempre, tutte le immagini della nostra mente è
falso: il più delle volte esse vagano come fantasmi nei
nostri
pensieri senza trovare alcuna realizzazione. I motivi possono essere
vari: perché non abbiamo competenze, abilità o
mezzi
necessari per realizzare quello che immaginiamo; perché
siamo
troppo sognatori o addirittura anticipatori dell’epoca in cui
viviamo. Siamo circondati dalla fantasia, nostra e di quella
d’altri, e ci viviamo dentro. Da qui la mia opinione: la
fantasia
è un importante momento ludico e di evasione dal
circostante, ma
anche parte di quella realtà che l’uomo crea e in
cui vive
e si definisce.
In generale, la fantasia può essere gioco e patologia.
È
gioco quando immaginiamo cose che sappiamo non esistere nella
realtà ma solo nella nostra mente: se immaginiamo una sedia
con
le ali, che vola, siamo consapevoli di non trovarne riscontro nella
dimensione quotidiana in cui viviamo ma solo nella nostra
immaginazione, distesa e divertita. In questo caso,
c’è
un’alterazione ludica del reale, del nostro percepire il
circostante in forma giocosa. È patologia quando siamo
convinti
di vedere, per davvero, una sedia con le ali volare per casa. Qui,
alterare il reale non è ricreazione ma malattia.
Anche per questa sua duplice caratteristica, ludica e patologica verso
la realtà, la fantasia in passato è stata spesso
ritenuta
pericolosa, da non stimolare, perché a un passo dal condurre
all’irrazionale, alla pazzia.
L’intera storia della fantasia è multiforme,
contorta e
contraddittoria. Dall’etimologia alla filosofia, dalla
letteratura al gioco, essa coinvolge studiosi di ogni epoca e tempo:
Platone, Aristotele, Petronio, Quintiliano, Bacone, Hobbes, Vico, Jean
Paul Richter, Coleridge, Freud, Vigotski, Zolla, per ricordarne alcuni.
Ognuno ha della fantasia una propria opinione. C’è
chi la
separa dall’immaginazione (Hegel); chi ne descrive regole e
suggerimenti, didattici e ludici (Rodari); chi la teorizza come
distinta dall’immaginazione produttiva e riproduttiva (Kant);
chi
definisce l’immaginario come luogo psicologico delle false
immagini (Lacan); chi ne descrive le caratteristiche principali come
designer (Munari), chi ne traccia forme narrative e
peculiarità
(Calvino) e chi suggerisce di unirla alla ragione affinché
non
si creino mostri ma meraviglie (Goya).
Articolata
è anche la
traduzione della parola “fantasia” nelle diverse
lingue:
“fantasia” e “immaginazione”,
per esempio, non
sono dappertutto sinonimi come in italiano (e non è stato
sempre
così!), ma conservano valori diversi secondo la storia e
cultura
di un popolo. Da dove proviene e dove si colloca la fantasia? Nel
Medioevo si credeva che la fantasia, come visione, fosse espressione
divina. Dante parla delle sue visioni come ispirazione divina:
“Poi piovve dentro a l’alta fantasia” (Purg. XVII
v.25) dove il verbo “piovere” indica la direzione
di
provenienza delle sue immagini. È con il Rinascimento che la
fantasia viene riconosciuta come appartenente all’individuo e
non
più associata a un’origine divina e poi, nel
Novecento,
sarà ricondotta all’inconscio e alla
complessità
della mente. Avicenna nel De
Anima individuava l’immaginazione
nel ventricolo anteriore del cervello; per Platone,
l’immaginazione aveva invece sede nel fegato, organo lucido
dove
i pensieri si riflettono. Oggi si crede che la fantasia, in quanto
ritenzione sensibile, sia situata nella parte anteriore del cervello ma
tra medici e filosofi non c’è un comune accordo
(nota: le differenze tra immaginazione - facoltà dell'azione - e fantasia
- facoltà del possibile - sono approfondite qui e qui).
La fantasia è anche gioco: di parole; di evasione
spensierata;
didattico. La fantasia sregolata è eccitante ma
più
avvincente credo sia quella basata sulle regole, che non limitano
l’inventiva come si potrebbe credere in un primo momento ma
la
spronano, la stimolano e la pungolano a cercare altre e nuove
soluzioni. Un esempio di fantasia associata a regole circoscritte
è quello dell’Oplepo, Opificio di Letteratura
Potenziale
nato a Capri nel 1990 sull’omologo Oulipo francese istituito
nel
1960. Le produzioni degli oplepiani sono pensate su delle contraintes,
cioè limitazioni che creano particolari strutture
letterarie,
matematiche, musicali.
Un mio tentativo oplepiano, di natura linguistica, è un
racconto
alfabetico circolare in cui le iniziali e, a ritroso, le finali di
parole seguono l’ordine alfabetico dalla A alla Z. Un breve
testo
di senso compiuto, creato entro la successione delle lettere, che narra
la storia di un detective, di origini campane, che da anni è
sulle tracce di un pericolosissimo criminale, latitante, noto con il
nome di Leviathan Monstrum. In un ristorante, grazie a tre fondamentali
indizi (un vino sardo, un opuscolo erotico, un finto lavoro per una
nota rivista) il detective lo riconosce e, dopo le sue riflessioni, a
gran voce chiede aiuto ai presenti per fermarlo:
«Azz, bev’ Cannonau. Dépliant Eros. Fotoreporter GQ…».
“HELP, IMMOBILIZZATELO: LEVIATHAN MONSTRUM!”
Non credo sia possibile
una definizione universale di fantasia. Possiamo intenderne o
percepirne i tratti solo in rapporto
al suo essere in congiunzione con altro. La domanda
“cos’è la fantasia?” presuppone molte
risposte, non una. Alle volte addirittura nessuna, perché la
fantasia è anche espressione di
un’intensità ed esperienza individuale
incomunicabile agli altri e a se stessi.
È insieme
abituale e insolita, familiare e sconosciuta; attrae e spaventa,
affascina e intimorisce e coinvolge anima e corpo,
verità e finzione, genio e pazzia, conoscenza e illusione,
senso e nonsenso. Le riflessioni sulla
fantasia credo siano molto vicine a quelle che Sant’Agostino
fa nelle Confessioni dove a
proposito del tempo scrive: “Cos’è il
tempo? Chi saprebbe spiegarlo in forma piena e breve? Chi
saprebbe formarsene anche solo un concetto nella mente, per poi esprimerlo a parole?
Eppure, quale parola più familiare e nota del tempo ritorna
nelle nostre conversazioni? Quando
siamo noi a parlarne, certo intendiamo, e intendiamo anche quando ne udiamo parlare.
Cos’è dunque il tempo? Se nessuno
m’interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi
m’interroga, non lo so.” (Libro XI, cap. 14)
per approfondire:
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