Io li chiamo giochi fantasiologici. Li invento, li progetto, li metto in moto. Sono dispositivi numerici, linguistici, artistici che servono a osservare da vicino e meglio i meccanismi della fantasia, dell’immaginazione, della creatività (visita la pagina pubblicazione per approfondire). Ma non solo. Anche di altre parole che mi stanno a cuore: percezione, associazione, fantasticheria, realtà.
Non sono giochi da fare e basta. Sono esperienze costruite con attenzione. Legate a un luogo, a un tempo, a chi ci si trova dentro. Ogni volta cambiano forma, perché sono site-specific: accadono una volta sola, e in quel momento preciso chiedono al pensiero di deviare rotta. Di cambiare passo.
Li creo con uno sguardo che prova a intrecciare scienza, arte, umanesimo. Ci sono giochi linguistici, dove le parole si staccano dal senso abituale, si piegano, si spezzano, si moltiplicano. Perdono la gerarchia. Si ribellano. Diventano altre. Ci sono giochi numerici, dove la logica incontra le possibilità per costruire forme che non servono a risolvere. Ma a guardare. Altrimenti. E giochi artistici, non in coda, dove lo spazio si attiva, diventa scena, il corpo partecipa. Anche altrove.
I miei giochi fantasiologici non desiderano intrattenere ma allertare. Chiedono attenzione. Ma un’attenzione viva, mobile, critica, ironica. Sono pensati per bambini e adulti che non hanno chiuso la porta al dubbio. Trovano posto là dove il pensiero, il gioco del fare finta, la voglia di dimostrare possono ancora accadere.
Alcuni miei giochi qui
Al pari del fisico, che compie esperimenti per verificare certe sue ipotesi, costruisco giochi linguistici, numerici e artistici per divertirci, certamente, e per indagare, soprattutto, in maniera sistematica e pratica le facoltà oggetto della fantasiologia.
Massimo Gerardo Carrese, 2021

gioco fantasiologico di Massimo Gerardo Carrese, esposto al Festival Fantasiologico 2017
Volti in locomotiva di Massimo Gerardo Carrese, professione fantasiologo, è qualcosa di differente da uno spettacolo teatrale o da una narrazione; è più un gioco didattico condiviso, che stimola i piccoli spettatori a ragionare e a lasciar la fantasia libera di esplorare le possibilità di senso, di parole e concetti, tenendo presente che la parola magica della fantasia è “anche”, congiunzione che apre possibilità plurali al significato delle singole cose, per cui può accadere che il disegno stilizzato di un omino vada a comporre la parola treno e che dalle lettere di una parola ne sortiscano tante altre. Spettacolo non è, o se lo è, ne è una versione decisamente sui generis, ma svolge comunque la sua funzione, che è quella di interagire con un pubblico, di interessarlo e al contempo metterne in moto i meccanismi di decodifica e interpretazione della realtà. Realtà della quale la fantasia non è che estensione possibile, dimensione dilatata che allarga sensi e significati.
Il Pickwick, Rivista di Culture, Critiche e Narrazioni 2020