Massimo Gerardo Carrese
L’inesprimibile nulla

L’inesprimibile nulla

Toccarsi

Che poi, che uno, mi chiedevo, che quando che uno che pensa alla parola “toccarsi” che uno che pensa subito a quella cosa là, cioè che uno che si tocca sessualmente, ecco, cioè io non la penso subito, e neanche più tardi, cioè io non penso a questa cosa qua, neanche poi tutti proprio tutti la pensano questa cosa qua, ma se dici “toccarsi”, nella forma riflessiva, cioè che uno riflette mentre che uno si tocca, per esempio, potrebbe anche darsi, credo, che uno stia lì a riflettere mentre si tocca ma che però io, devo dire, che non mi viene da pensare a toccarmi sessualmente quando sento la parola toccarsi, cioè anche se non sento la parola non è che mi viene da toccarmi così, ma che però non so bene neanche io a che cosa penso quando sento la parola toccarsi, forse penso a qualcosa che al momento non so dire, credo, però a qualcosa penso, ma che mi ricordo che c’era un prete, una volta, che avevo tredici anni, che a me mi diceva in confessione se io mi toccavo e che gli ho detto di sì e che lui ha detto che era peccato e che avrei dovuto evitare e che io gli ho detto, mi ricordo ancora, che gli dicevo che era impossibile non toccarsi, secondo me, come adesso, gli dicevo, che io davanti a lui mi toccavo il naso.

Notturni mattini

Che poi, mi sono svegliato, e che mi sono ascoltato Beethoven, che non lo facevo da anni un risveglio così, ad ascoltare Beethoven, e così che mentre che ascoltavo Beethoven, una esecuzione a Vienna, non la Vienna d’agosto ma quella di febbraio, che ho pensato che io che sono una persona solitaria ma non una persona che dice agli altri che sta sempre da sola e che mentre lo dice sta con gli altri, io credo che io sono una persona solitaria cioè che sono sempre con me, e che questa cosa qua che ora che non mi piace tanto, in questo periodo, e che allora che io vorrei che stare con le persone a cui che poter dire che io a me una volta che c’era un periodo che io ero un tipo solitario, cioè non uno che stava sempre da solo e che si lamentava ma uno che stava sempre con me, che è diverso. E che poi, allora, che ho aperto la finestra e che guardavo le montagne, la valle del Volturno, così la chiamano, il mare in lontananza, una parte di cielo, le mie pecore, una scia in cielo, un grosso albero, gli ulivi e che mentre che suonava Beethoven pensavo alla fotografia in bianco e nero, e pensavo alla fotografia in bianco e nero mentre guardavo il panorama e ascoltavo Beethoven con le braccia appoggiate sul davanzale della finestra e che poi che ho pensato a quando ero quasi a San Bartolomeo in Galdo e mi fermai su un lago lì nelle vicinanze, un lago che io che mai che a me mi pareva che ci potesse essere un lago là, non è grande, forse non è un lago ma c’è dell’acqua e che allora io feci una curva e me lo trovai là il lago e che mi sono fermato su una panchina, una di quelle che a me mi piacciono moltissimo, che non c’era nessuno, e che mi sono messo a guardare il riflesso del cielo in un lago, che si vedevano anche gli aghi dei pini nel lago, e che pensavo allo specchio e pensavo a una poesia di Musset che parla di uno specchio e ai volti che avevo visto quel giorno e a quelli che avevo visto tre anni prima e che allora che ci sono dei mattini che sono notturni.

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