Avevo fatto caso, quando che ero con gli amici in campagna, che essi, i miei amici, loro, che essi loro, ecco, che dovevano per prendere un piatto prima prendere tutte le forchette, cioè alzarle dai piatti dove che erano state messe dentro i piatti le forchette per non appoggiarle a terra, a terra nel terreno, e che erano stati messi sul primo piatto che era primo perché impilato sugli altri e che le forchette che erano nel primo piatto, una ventina di forchette tutte messe insieme nel primo piatto, che per prendere il primo piatto che gli amici, essi loro, dovevano prendere prima tutte le forchette con una mano per prendere il primo piatto con l’altra mano e poi rimettere con la mano di prima tutte le forchette prese, tranne una che la prendevano per loro, con la mano libera, una delle due, su quello che ora diventava il primo piatto ma che era stato fino a quel momento il secondo. E così ho assistito con grande gioia e curiosità, per un intero pomeriggio quasi, a quanto le forchette che diventava sempre più semplice per l’ultimo prendere il piatto perché poi l’ultimo aveva la forchetta e il piatto già disponibili che non doveva fare nessuna mossa e chissà, mi sono chiesto, avrà pensato che siamo gentili che gli avevamo riservato, a lui appena arrivato, o anche a lei, certo, un piatto con una forchetta dentro. Che avevo fatto notare la cosa a una bambina, che per prendere il suo di piatto che doveva sollevare due forchette e così prenderne una e prendere il piatto e lasciare la forchetta altra nel piatto ultimo ora primo. La bambina sorrideva e diceva che era vero che era strano che per prendere un piatto che dovevi prima sollevare le forchette. Delle istruzioni d’uso assai singolari. Ho pensato. E lei pure. Poi non abbiamo più parlato per tutto il tempo. Poi l’ultimo piatto e l’ultima forchetta che erano lì, eleganti, in una comunicazione che il design oggi direbbe un’eleganza ottimizzata per le circostanze agresti, mi sono detto, o forse anche no.
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