Custodire le parole
Nell’ambito dell’iniziativa “Adotta una parola” promossa dalla Società Dante Alighieri, da oggi sono simbolicamente custode delle parole fantasiosità e onomaturgo. Due vocaboli, tra gli altri, che rischiano di scomparire dal lessico italiano. Ho deciso di adottarli per un anno intero perché sono due voci per me essenziali.
Fantasiosità mi piace molto perché indica l’essere fantasioso, la ricchezza di fantasia, l’immaginazione fervida, l’estrosità di una persona o di un’opera. È un vocabolo che uso di frequente con gli amici e nei miei corsi di fantasiologia a scuola e all’università ma, per ciò che riguarda la mia esperienza e l’ambiente in cui vivo, è da tempo che non mi capita di sentirlo pronunciare e, a riprova della sua presenza nell’elenco delle parole italiane da adottare, raramente lo trovo in qualche saggio, poesia, articolo, romanzo o programma scolastico.
Onomaturgo si riferisce, invece, a chi conia nuove parole, neologismi. Nonostante la sua vitale importanza è una parola di basso uso (e non solo nella pratica quotidiana). Per quanto mi riguarda, al contrario, la sento vicina perché è parte indispensabile dei miei studi e ricerche e rispecchia la mia attività ludica e poetica.
Custodisco fantasiosità e onomaturgo prima per la bellezza che esse portano con sé e, poi, perché sono parte del mio lavoro.
Per un anno, stimolato dalla mia adozione, le “indosserò” con più vigore a scuola, all’università, nelle spasseggiate fantasiologiche, nelle librerie, nei miei scritti e concerti, negli incontri pubblici e letture ludiche….Vedremo che cosa accadrà.
L’anno scorso adottai i sinonimi alfabetiere e alfabetario, due parole che credo primarie alla formazione della nostra fantasia, immaginazione e creatività. Mi hanno fatto scoprire autori e cose che non conoscevo e credo di averle condivise ampiamente con gli alunni di scuole di ogni ordine e grado, con qualche amico e con le persone che incontravo in occasione di eventi culturali e musicali. E continuerò a farlo.
Massimo Gerardo Carrese, San Giovanni e Paolo, 26 luglio 2014
“La creatività adottata”
Questo articolo è stato pubblicato in “ArteCulturaItaloPolacca“, 2019
Nell’ambito dell’iniziativa “adotta una parola” promossa dalla Società Dante Alighieri, per un anno sarò custode della parola CREATIVITÀ per sensibilizzare il pubblico a un suo uso corretto e consapevole
Che cos’è la creatività? Per il designer Bruno Munari è un uso finalizzato della fantasia e dell’invenzione. Per Edward De Bono, padre del pensiero laterale, è la risorsa umana più importante e senza di essa non ci sarebbe progresso. Per Piero Angela, divulgatore scientifico, è la capacità di porsi continuamente domande. Per lo psicanalista Erik Fromm, la creatività richiede il coraggio di abbandonare le certezze. Creatività, come ricorda la pubblicitaria Annamaria Testa, non è inventare qualcosa dal niente.
Tra le voci più ambigue dei nostri tempi, il sostantivo “creatività” significa tutto e niente. Talora è associata alla follia, altre volte alla genialità, la parola “creatività” resta tra le voci più difficili da definire. Confusa spesso con l’immaginazione e la fantasia, la creatività è legata al fare con metodo, con progettualità. In breve, è combinare in modo nuovo, con fantasia e immaginazione, elementi preesistenti per un uso finalizzato. Creatività è coraggio e curiosità, per superare limiti e ostacoli. Creatività è preparazione, conoscenza delle regole, rigore e applicazione costante.
Il senso comune ci dice che la creatività è una dote innata, che è improvvisa ispirazione e che se in te non c’è dalla nascita non puoi più coltivarla. Vede la creatività nel musicista ma non nel contadino, nel poeta ma non nel notaio, nel pubblicitario ma non nella ditta di pulizie. Queste osservazioni, purtroppo molto diffuse, portano a conseguenze sociali e didattiche gravi soprattutto quando ci fanno credere che non tutti possiamo essere creativi. Creatività è pensare con la propria testa.
Da molto tempo “adotto parole” e quest’anno ho deciso di custodire proprio la parola “creatività” per sensibilizzare il pubblico al suo uso corretto e consapevole. La Società Dante Alighieri da qualche tempo ha inscritto questa parola tra quelle “a rischio”, proprio perché di essa si fa un uso ambiguo.
Tra gli aforismi sulla creatività che più adoro c’è quello del saggista Arthur Koestler: «La creatività è l’arte di sommare due e due ottenendo cinque.»
“Da oggi sono custode della parola ‘inimmaginabilità’, che rischia di scomparire dai Dizionari italiani. Fino al 22 gennaio 2017 ne avrò la responsabilità. Ecco la mia motivazione fornita alla Società Dante Alighieri (sul sito di beatrice.ladante.it) in fase di adozione della parola.Perché ho scelto questa parola? Per il suo duplice senso: l’impossibilità di immaginare qualcosa; la straordinarietà di un evento che si realizza. Parola che descrive la presenza del potenziale, del possibile, in ognuno di noi.” – 22 gennaio 2016
Spasseggiare, anno di custodia 2018:
“Spasseggiare”: da oggi, e per un anno, la parola sarà custodita dal fantasiologo Carrese.
All’iniziativa, promossa da molti anni dalla Società Dante Alighieri, il fantasiologo Carrese ha aderito da subito facendosi portavoce di quelle parole…
Tra le attività svolte da Massimo Gerardo Carrese, studioso di storie e caratteristiche della fantasia e dell’immaginazione, c’è anche quella di adottare parole. All’iniziativa, promossa da molti anni dalla Società Dante Alighieri, il fantasiologo Carrese ha aderito da subito facendosi portavoce di quelle parole, segnalate da esperti, che rischiano di scomparire dai dizionari della lingua italiana. Negli anni ha adottato i sinonimi “alfabetiere” e “alfabetario”, impropriamente scambiati nel linguaggio comune con “sillabario” e “abbecedario”, e poi “fantasiosità”, “onomaturgo” e il più recente “inimmaginabilità”, tutti termini che hanno una forte relazione con i suoi studi legati anche alla potenzialità della lingua e del linguaggio che struttura per gran parte il nostro immaginario collettivo. Massimo Gerardo Carrese cerca di divulgare in incontri e pubblicazioni le parole da lui adottate per dare a esse una continuità nell’uso. “Spasseggiare” è la nuova parola di cui sarà custode fino al prossimo marzo 2019. È una parola molto cara a Carrese che da anni, con adulti e bambini, conduce le “spasseggiate fantasiologiche” (sul suo sito www.fantasiologo.com c’è una pagina dedicata all’argomento, con una piccola storia della parola “spasseggiare”). «Spasseggiare è un verbo che uso frequentemente, spiega il fantasiologo Carrese, non solo durante i miei incontri ma lo nomino con particolare intensità anche nel mio lavoro editoriale dedicato all’Alfabetario dei Luoghi». Un’opera di 26 volumi, edita da Ngurzu Edizioni – sta per uscire il IV volume – in cui l’autore e la fotografa Elisa Regna ‘spasseggiano’ nei luoghi della Campania secondo un gioco alfabetico ideato dal fantasiologo. «Spasseggiare, continua Carrese, è un verbo da proteggere per la sua natura dialettale, che vuol dire tradizione, e scherzosa, che vuol dire allegria. Oggi è una parola che rischia di scomparire perché si tende a sostituirla con il più comune passeggiare. Quella ‘s’ davanti a ‘passeggiare’ rivela maggiore intensità e un’azione più divertita: invitare una persona a fare due passi è un conto ma invitarla a fare due ‘spassi’ è un’altra, qui non si può che sorridere. È lo spasso a caratterizzare la spasseggiata, lo aveva notato già lo scrittore Luigi Malerba ne I Neologissimi. Lo spasso è prerogativa della spasseggiata (ma non sempre lo è della passeggiata). La passeggiata è più meditativa mentre la spasseggiata invita al divertimento, al ‘volgersi altrove’. E nell’altrove non c’è solo altro ma anche l’altro».
ADOZIONI E INVENZIONI
incontro di Massimo Gerardo Carrese alla Biblioteca Vigentina, Milano. 17 novembre 2014, in occasione della presentazione del libro Il passadondolo– dizionario delle parole ritrovate e adottate di Enrica Caretta
Ho scoperto il libro-dizionario di Enrica Caretta nel 2012 quando, seguendo nello stesso anno l’iniziativa “Adotta una parola” promossa dalla Società Dante Alighieri, decisi nel 2013 di prendermi cura a tempo indeterminato di due parole: alfabetiere e il suo equivalente alfabetario. Che cosa sia un alfabetiere/alfabetario lo lascio scoprire a voi che per non sbagliare certamente consulterete un dizionario della lingua italiana ma, vostro malgrado, potreste incappare in un bizzarro corto circuito poiché i dizionari della lingua italiana, quelli che riportano le due parole da me adottate, tendono a indicare alfabetiere e alfabetario come sinonimi di sillabario e abbecedario. E lo stesso accade nel parlato quotidiano. Un mio saggio in uscita per Ngurzu Edizioni, intitolato A come Alfabetiere, spiega i motivi della singolarità linguistica anche da un punto di vista dell’immaginario collettivo, che influisce molto sul modo di conservare e tramandare le parole: custodire le parole vuol dire anche cercare di salvare il significato dei vocaboli, spesso in pericolo dal sopraggiungere di sinonimie poco credibili.
Nel tempo ho amorevolmente cercato altre parole da salvare, come lo scorso luglio quando ho adottato onomaturgo e fantasiosità. Custodisco fantasiosità e onomaturgo prima per la bellezza che esse rappresentano e, poi, perché sono parte vitale del mio lavoro: sono un fantasiologo, vale a dire uno studioso di storie e caratteristiche dell’immaginazione e della fantasia e spesso mi diletto a ideare parole, cioè a essere un onomaturgo, per l’appunto. Mie sono le parole panassurdismo, ludorimico, giottoso e l’espressione ortinti segni. Che mestiere è quello del fantasiologo? Il fantasiologo è certamente uno smestiere, per usare una parola citata nel Passadondolo, come riportato da Elisabetta Sgarbi. Smestiere è parola che lei supporta, inventata da Ferdinando Tartaglia, prete spretato e poeta. Smestiere vuol dire la volontà di uscire dai ruoli stretti, predefiniti, e di conseguenza scegliere di diventare qualcosa o qualcuno al di là delle etichette. Lo smestiere è un omaggio a ciò che si ha nel profondo. In quest’ultimo senso, soprattutto, il fantasiologo è uno smestiere, con tutti i rischi che ne comporta, economici e di credibilità.
Uno dei piaceri quando ci prendiamo cura delle parole è quello di condividerle con le altre persone (nonché con se stessi) attraverso il gioco. Giocare con le parole è uno dei modi, forse il più valido, per mantenere allenata la nostra memoria e garantirci la memoria stessa delle parole. Il gioco solletica con vivacità e coinvolgimento la nostra mente e corpo e Il Passandondolo garantisce questa forma di sottile allettamento.
Il Passadondolo è un libro-dizionario che nasce dopo che Enrica Caretta aveva letto un libro intervista nel 2009 in cui si parlava dello scrittore madrileno Javier Marías che riporta una regola della Real Academia Española che dice che qualunque termine non più usato dopo il 1500 sarebbe dovuto essere eliminato dai dizionari. Una parola rimessa in circolo da Marías è lo spagnolo acercanza, che significa vicinanza, prossimità. La parola è tornata in uso nei vocabolari grazie non solo allo scrittore ma anche all’attenzione di amici che l’hanno usata in articoli, libri e vignette.
Il Passadondolo non è un dizionario così come in generale siamo abituati a immaginarcelo ma è un libro sulla cura delle parole. Io l’ho letto tutto perché si legge come se fosse un libro d’avventura che narra di parole. Ogni persona (artista, scrittore, docente, poeta, cantante…) presentato nel libro lo anima e offre una propria interpretazione a quei vocaboli che rischiano di scomparire, a quelle parole che il Devoto Oli ha deciso di togliere presentando un elenco di voci da abbandonare e che Enrica Caretta, invece, tenta di salvare. In molti casi, gli intervistati non adottano solo parole da salvare ma ne inventano di nuove, sono perciò essi stessi degli onomaturghi: inventano maciame, smitollato, disperanza e tante altre ancora. In altri casi, altri autori, riportano parole inesistenti in un sistema linguistico come fa Andrea Camilleri che cita snaulo che compare in Alice nel Paese delle Meraviglie.
Il libro di Enrica Caretta è un romanzo biografico perché attraversa con le parole da salvare la vita degli esseri umani, di quelli che si raccontano nel libro e di quelli che il libro lascia immaginare.
Buona lettura,
Massimo Gerardo Carrese